Tutti siamo in grado di affrontare le emozioni positive legate ad una vittoria. Più complicato è accettare le emozioni negative legate alla sconfitta.
Non ci si dovrebbe illudere che i calciatori giochino pensando di giocare. Essi giocano lanciandosi in attacco ed in difesa come se fossero in guerra.
Altrimenti come si potrebbe giustificare, in un semplice gioco, lo scatenarsi di tanta energia repressa?
Tutti sperimentiamo cosa significhi la vittoria e la sconfitta della nostra squadra del cuore. Perché ce la prendiamo tanto? Perché ha a che fare con la nostra identità personale. Se la nostra squadra vince ci sentiamo vincenti anche noi, viceversa se perde.
Come aiutare allora i nostri ragazzi a gestire una sconfitta? Innanzi tutto educandoli a viverla non come l’essere perdenti, bensì come l’opportunità di acquisire nuove strategie.
Le sconfitte servono a fermarsi, riflettere, fare il punto della situazione, osservare, valutare, capire cosa c’è stato di utile, d’importante nella prestazione eseguita; su cosa bisogna lavorare e cosa si può migliorare. Tutto sommato, potrebbe servire per fare una valutazione delle proprie risorse, punti di forza e, al contempo, delle criticità.
Di fronte alla frustrazione che provoca una sconfitta il comportamento dell’adulto di riferimento rappresenta un “salvagente” al quale il ragazzo si aggrappa per rimanere a galla. Gli adulti possono insegnare al bambino, attraverso l’esempio, strategie volte a non abbattersi dopo una sconfitta, ad accogliere con leggerezza le decisioni dell’allenatore anche se non condivise. I ragazzi si arricchiscono ispirandosi a ciò che vedono fare alle figure primarie di riferimento che nel caso del calcio sono, oltre ai genitori, il Mister ed i dirigenti. Questo vale sia per gli esempi positivi, sia per gli esempi negativi, volti all’abbattimento, all’intolleranza, al demordere.
Porre attenzione alle emozioni dell’atleta rappresenta, per istruttori e genitori, la possibilità più preziosa di acquisire un codice di lettura capace di svelare il prezioso manoscritto, altrimenti oscuro, rappresentato dal mondo interno dei ragazzi.
Ogni adulto dovrebbe essere capace di entrarvi in contatto, saper comunicare con esso e comprendere le espressioni talvolta controverse con le quali si manifesta.
Il giovane atleta ha bisogno di percepire che gli adulti riescono a comprendere e vivere le sue emozioni dalla sua prospettiva, solo così si sente accolto. I risultati insiti nell’aspetto inevitabilmente agonistico dello sport, tra cui la vittoria stessa, diventano così una conseguenza dell’appagamento del bisogno primario che il ragazzo ha di credere in se stesso e di sentirsi sicuro delle proprie capacità perché in grado di amarsi pur riconoscendo i propri limiti.
E’ fondamentale dunque, in quest’ottica, imparare a perdere. La sconfitta è un momento duro, perché porta frustrazione, ma solo imparando a superare la frustrazione si può procedere nel cammino accidentato della competizione, che è simile alla vita.
Il risultato negativo non deve comunque mai toccare la stima verso le persone, perché riguarda IL FARE E NON L’ESSERE.
“Impegnatevi per ottenere ciò di cui avete bisogno, e quando non riuscite ad ottenerlo, ebbene, sorridete e tentate ancora, in un modo diverso.”
William Hart
Dr. Gaia Luzzi – Psicologa Psicoterapeuta